lunedì 11 marzo 2013

Non ha voce. Ma ha fame. Intervista a Marina Palombaro (CIAI)


Anche quest'anno appoggio personalmente la campagna di raccolta fondi del CIAI. 
Quest'anno la campagna si chiama “Non ha voce. Ma ha fame” e punta a realizzare un progetto a favore di 150 bambini malnutriti (0-2 anni) e 30 donne in gravidanza in sei villaggi della Costa d'Avorio - Alépé, il capoluogo e i villaggi di Monga, Montezo, Grand Alépé, Memni, Ahoutoué.

Ne parlo con Marina Palombaro che coordinerà il progetto. È un'intervista che, spero, ci permette di cogliere in pieno la portata del problema e anche di capire come lavorano le ONG, e in particolare il CIAI, in questi territori.

Per chi non ha pazienza e vuole subito andare al dunque segnalo che per donare 2 euro (dal 10 al 31 marzo) basta mandare un SMS al numero solidale 45503 (da cellulari TIM, Vodafone, Wind, 3, PosteMobile, CoopVoce e Noverca) o chiamare da rete fissa TWT. Mentre chiamando da rete fissa Telecom Italia, Infostrada o Fastweb si possono donare da 2 a 5 euro.

Buongiorno Marina, iniziamo con una domanda apparentemente semplice: che lavoro fai?
Foto 1
Coordino i vari progetti del CIAI in Costa d'Avorio.

E sul tuo biglietto da visita, cosa c'è scritto?
Rappresentante Paese.

Qual è stato il tuo percorso lavorativo?
Ho avuto un percorso abbastanza anomalo per una cooperante. Ho infatti iniziato la mia carriera professionale come bancaria, per ben 8 anni. Poi ho lasciato perché era un mondo che non mi apparteneva. Ho poi lavorato nella formazione professionale con l'ISFOL come consulente e questa esperienza mi ha permesso di iniziare a "sperimentarmi" nella cooperazione internazionale alla quale sono arrivata dopo i trent'anni dunque in età sufficientemente matura. Dal 2002 mi occupo stabilmente di cooperazione internazionale.

Quale percorso educativo consigli per chi volesse seguire le tue orme più velocemente?
Io non credo che esistano percorsi speciali: credo che una buona preparazione universitaria in qualsiasi campo vada bene. Francamente le formazioni universitarie specifiche mi fanno inorridire: io ho fatto un master, ma francamente non credo mi abbia dato molto più di quel che già avevo interiorizzato nel mio percorso universitario precedente. Poi, però, se fai una selezione la formazione te la chiedono, ma a questo punto meglio un master di un anno.

A quanti diversi progetti hai collaborato?
Nel mio percorso da cooperante ho avuto modo di coordinare e gestire una decina di progetti che spaziavano dal diritto alla salute, al diritto all'istruzione, dall'empowerment femminile al microcredito, dalla prevenzione della mortalità materna alla prevenzione della morbi-mortalità infantile (in particolare prevenzione della malnutrizione), dal rafforzamento delle capacità comunitarie all'eco-turismo.

Foto 1
Da quanto tempo ti trovi in Costa d'Avorio?
Dall'ottobre 2012.

E quali progetti hai seguito in questo paese?
Dal mio arrivo qui ho avuto modo di seguire due progetti incentrati sul diritto all'istruzione di base (anche con costruzione di 3 scuole), al rafforzamento delle capacità economiche di madri-capofamiglia per permettere loro di poter iscrivere i figli e le figlie a scuola, visite sanitarie per gli allievi delle 3 scuole costruite (Alépé, Grand Alépé e Ingrakon, vedi foto 1), presa in carico sanitaria di 100 donne affetta da HIV.

In cosa consiste esattamente il tuo lavoro? Quali sono gli obiettivi che si pone?
Il mio ruolo da rappresentante istituzionale consiste nel costruire e mantenere i rapporti istituzionali con il governo ivoriano in tutte le sue espressioni (dal livello centrale al livello decentrato), costruire partenariati con la società civile ivoriana, costruire e mantenere quando già esistenti rapporti istituzionali con organismi internazionali (es: UNICEF, Unione europea, ecc.), i rapporti con le autorità competenti in campo di adozioni internazionali per assicurare che qualora ci fossero bambini adottabili l'adozione venga fatta nel rispetto dei bambini/e dei potenziali genitori e delle leggi vigenti in loco e in Italia, verificare la fattibilità di idee progettuali, scrivere progetti, gestire il personale locale e far funzionare l'ufficio/sede del CIAI in Costa d'Avorio, amministrare correttamente i fondi inviati per la realizzazione delle attività dell'ONG.

Quali sono per te le priorità di un paese come la Costa d'Avorio? E pensi che il lavoro che tu svolgi riesca a rispondere a queste priorità?
La Costa d'Avorio è innanzitutto un paese che ha bisogno di riconciliazione e pace: questa è la conditio sine qua non per qualsiasi altro tipo di intervento anche perché è un paese che ha tante risorse economiche e potenzialità. Lavorare sui diritti dei bambini, delle donne, di accesso alla salute, e su altri aspetti, è certamente il modo migliore per lavorare qui ed ora. Cioè non è solo costruire o fare attività, è qualcosa in più: è costruire un percorso in cui gli esseri umani trovino la loro giusta posizione. Allora bisogna ricominciare dai diritti, è prioritario. Se la violenza verso bambini e donne che ovunque rappresentano la parte più debole della società persiste come se fosse "normale” allora non c'è spazio per nessuna forma di sviluppo, ma questa cosa è valida un po' per tutte le realtà.

Raccontaci una tua giornata tipo.
Arrivo in ufficio alle 8h30, controllo la posta e le notizie dei giornali in particolare su internet. Riunione con i collaboratori per l'organizzazione delle attività di terreno e per fare il punto sulle attività realizzate. Contatto con i partner: vedere a che punto sono con le rendicontazioni e con le attività da realizzare. Contatto con i ministeri per vedere se ci sono delle novità in merito ai nostri rapporti istituzionali. Dalle 13 alle 14 pausa pranzo. Uscite in città (per attraversare Abidjan a volte ci vogliono 2 ore) per uffici vari o per incontrare un potenziale partner. Oppure la prima parte della giornata non si svolge in ufficio, ma nei villaggi dove vado a controllare se le attività sono correttamente svolte, a incontrare le donne beneficiarie dei progetti ascoltarle e capire se tutto sta andando bene, a incontrare i bambini nelle scuole e vedere se hanno beneficiato correttamente di una attività, a visitare un nuovo sito/villaggio/quartiere nel quale vorremmo intervenire con qualche nuovo progetto e in questo caso e incontro le persone, le associazioni, le autorità locali per sentire quali sono i problemi e discutere con loro le possibili soluzioni. Di solito dovrei lavorare fino alle 17 ma spesso rimango oltre.

Vedo che interagisci moltissimo con le istituzioni. Ti è capitato di avere a che fare con situazioni "grigie" come corruzione o malaffare?
Sì, direi quasi sempre, pensa che abbiamo acquistato una macchina da ottobre e ce l'hanno consegnata solo ieri. Noi come ONG abbiamo diritto all'esonero delle tasse, ma in questi mesi ci hanno fatto girare girare e girare noi abbiamo tenuto duro. Così la macchina l'abbiamo avuto sdoganata solo a marzo...

Con una mazzetta si sarebbe sbloccata prima?
Credo di sì, ma qui pure i militari ti fermano per i controlli e ti fanno capire che gradirebbero qualcosa. Ora non possono più chiederlo direttamente, ma nel 2006 se ti fermavano non ripartivi più. Ora glissi, fai finta di non aver capito, prendi tempo e alla fine ti fanno andare.

A parte la corruzione quali sono i principali ostacoli che incontri nel tuo lavoro?
La burocrazia, che spesso è esagerata e ritarda gli interventi o l'acquisizione di informazioni importanti. Oppure l'ignoranza che spesso impedisce di percepire in tempi brevi un messaggio correttamente. Ma questa seconda cosa, cioè l'abbattimento degli ostacoli è uno degli obiettivi del nostro lavoro quindi si accetta più facilmente della burocrazia.

E nella ricerca del personale necessario alla realizzazione dei progetti, è difficile trovare persone affidabili?
Dei collaboratori scelti dall'ONG ti puoi mediamente fidare, ma devi sempre controllare! Con i partner è più complicato: trovi sempre qualcuno che ci prova, soprattutto quando c'è un cambio di guardia. Ad esempio io sono arrivata qui ad ottobre. Prima c'era un rappresentante paese locale e una coordinatrice progetti espatriata. Io ho assunto le due funzioni. Appena arrivata tutti hanno cercato di attribuire a chi mi ha preceduta delle cose che non rientrano negli accordi. Ci provano, insomma, ma io comunque mi baso sempre su quel che è scritto.

Ma immagino che per portare avanti progetti così importanti abbiate bisogno di pescare in una sorta di società civile proveniente dalla classe media del paese, ma esiste? È sufficientemente rappresentata?
Sì, poi dipende dal lavoro che le persone devono svolgere: comunque a me è successo in una selezione del personale di escludere dei profili eccellenti e preferire un profilo un po' più basso perché il nostro lavoro è un lavoro di equipe: a volte le eccellenze sono un po' autoreferenziali.

Temevo che molti dei più preparati di quei paesi emigrassero.
No, no: la gente va via certo ma c'è anche chi resta. Non tutti hanno lo spirito del viaggio. Cioè per emigrare ci vogliono due condizioni. Una è economica l'altra è psicologica: saper affrontare la diversità e il cambiamento e la disperazione è una condizione necessaria, ma non sufficiente.
Quindi, la ricerca di personale affidabile non è un grande problema, basta andare con i piedi di piombo. Forse la cosa che più mi ha ostacolato nel lavoro in genere è il fatto che sono una donna.

In che senso?
La gente pensa che le donne che fanno questo lavoro sono come madre Teresa di Calcutta cioè siamo mamme e mogli e quindi col "cuore tenero" e allora quando c'è un problema spostano dal piano professionale a quello "sentimentale".

Non per sapere i fatti tuoi, ma sei lì con la famiglia?
Sono con mia figlia di 2 anni e mezzo: siamo sole io e lei.

E c'è una comunità di stranieri - cooperanti e non - che si trova nel tempo libero?
Sì e no, ma noi non li frequentiamo. Le ONG straniere qui sono spesso mastodontiche e sono in alcuni quartieri di lusso, e più sicuri, a causa della recente guerra civile.
Il CIAI invece ha deciso di essere più nel territorio, certo seguendo comunque delle regole di sicurezza, quindi siamo lontane da altri espatriati e, come ti dicevo, attraversare la città è spesso un'impresa.

Ti pare che queste grandi istituzioni internazionali riescano a svolgere bene il loro lavoro oppure il loro essere così "mastodontiche" un po' le fuorvia?
No, no: io credo che molto dipende dalle singole persone cioè una ONG ha i suoi valori, ma poi il suo volto siamo noi i cooperanti e noi non è che siamo sempre rappresentativi... Mi ci metto in mezzo anche se francamente credo di essere una persona molto corretta.

Finora abbiamo parlato di difficoltà, quali sono invece gli elementi di supporto al tuo lavoro?
La voglia personale, del CIAI e delle persone con le quali percorriamo il cammino verso il miglioramento delle condizioni di vita.

Come possiamo essere noi di supporto?
Dando un messaggio corretto su cos'è la cooperazione e su come vivono veramente le persone nei vari “altrove” del mondo. Far girare i loro sogni nell'immaginario collettivo per uscire dagli stereotipi.

C'è qualcosa che secondo te, da qui, non riusciamo a cogliere delle situazioni in cui vi trovate ad operare (parliamo della Costa d'Avorio, ma anche in generale)?
Sì, innanzitutto la dimensione umana degli espatriati. Non si capisce che siamo dei professionisti. Nel campo umanitario, certo, ma sempre professionisti. Io ho una laurea, una specializzazione e un master più varie specializzazioni, eppure in Italia non mi prendono manco come segretaria perché pensano che noi stiamo qua a pane e acqua come i missionari. Poi la precarietà del nostro lavoro. Certo, abbiamo scelto questa vita, ma credo che l'opinione pubblica dovrebbe conoscere più quel che facciamo e avere più rispetto professionale. Rispetto, non ammirazione come se fossimo degli eroi che vanno al massacro. Poi sulle realtà di questi paesi i media danno spesso una immagine distorta che è più concentrata sulla conseguenza che sulla causa. Ad esempio il bambino malnutrito non è poi che si dica molto sui perché: c'è una dimensione politica della povertà e questa cosa non viene mai trattata, ma è proprio questo che sarebbe fondamentale per creare coscienza e puntare sul cambiamento. Non tanto e non solo il fatto di sapere che quel bambino sta morendo.

Sei stata chiarissima. E l'obiettivo di questa intervista è proprio di aiutare a chiarire proprio questi aspetti. Parlaci della campagna attuale del CIAI.
Non ha voce. Ma ha fame è la nuova campagna di raccolta fondi di CIAI tramite numero solidale – 45503 – attivo dal 10 al 31 marzo per realizzare un progetto che sarà sviluppato a favore di 150 bambini malnutriti (0 – 2 anni) e 30 donne in gravidanza in sei villaggi del paese - Alépé, il capoluogo e i villaggi di Monga, Montezo, Grand Alépé, Memni, Ahoutoué. Mamme e bambini riceveranno visite, controlli nutrizionali, razioni alimentari, ma tra i beneficiari figurano anche 50 donne, destinatarie di programmi agropastorali e circa 6mila persone cui sarà fornita formazione su nutrizione, igiene, educazione alimentare, prevenzione alla malnutrizione.

È così diffuso il problema della malnutrizione in Costa d'Avorio?
La malnutrizione cronica nei bambini ivoriani raggiunge il 20,2% (di cui il 15% in forma severa) mentre il 50% dei bambini in età prescolare soffre di anemia: il tasso di mortalità infantile dei bambini sotto i 5 anni è del 127 per mille, uno dei più alti al mondo.

So che tra le cause della malnutrizione ci sono anche alcune credenze popolari
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Certo. Le cause della malnutrizione in Costa d'Avorio non sono solo economiche ma dipendono anche da fattori culturali e scarsa informazione. “Non mangiare le uova, altrimenti diventerai un ladro da grande!”. Questa, tra le altre, è una delle credenze più comuni tra le mamme ivoriane: ai bambini non vengono somministrati alimenti altamente energetici nei primi anni di vita e vengono così reiterate abitudini alimentari scorrette.
La mancanza di un’adeguata educazione alimentare nelle madri, che spesso riconoscono i segni della malnutrizione solo quando sono molto evidenti, nonché la scarsa conoscenza delle principali categorie alimentari, impedisce alle mamme di preparare un pasto qualitativamente completo.

Ma normalmente cosa mangia un bambino ivoriano?
O meglio: cosa non mangia? I bambini fanno due pasti al giorno, la mattina e la sera, e la loro dieta prevede spesso gli stessi alimenti come l'atieké, una specie di cous cous di manioca con una salsa fatta con i semi della palma (sauce grain) oppure con carne o pesce; mangiano molte banane, come frutto o pestato come un puré, in accompagnamento all'atieké.

Grazie Marina e in bocca al lupo per la campagna e per la tua attività.
Crepi il lupo. Grazie a te, Marco, a presto!










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